Bookmark and Share

Il cantautore che guarda con gli occhi del bambino

È uscito l’ultimo album di Davide Peron, dal titolo “Imbastir parole”

L’album, che è disponibile in formato digitale sulle principali piattaforme, raccoglie 12 pezzi, di cui 4 inediti

E’ una scena d’acqua, di mare e di porto, di adriatiche partenze e ritorni, quella che apre il nuovo album di Davide Peron, il cantautore vicentino che percorre le Piccole Dolomiti ogni estate, con il suo “Mi rifugio in tour”, e che con quest’ultimo lavoro, Imbastir parole, segna il passaggio alla vita da musicista professionista.

L’album è disponibile, da inizio novembre, in formato digitale sulle principali piattaforme e raccoglie dodici pezzi, di cui quattro inediti e otto tracce provenienti dai precedenti lavori: Fin qui, e

Aria buona. Edito da ThisPlay Music e distribuito da Smc Italia,

Imbastir parole, come un diario, ripercorre l’evoluzione artistica del cantautore e ne fissa pensieri messi in musica. Sarà disponibile prossimamente anche su cd.

Davide, prima dell’uscita dell’album hai lanciato il singolo Fortuna al fianco: una storia d’acque, proprio per questo inusuale ai tuoi racconti in musica. Una svolta?

«Ho pensato di scrivere su quello spazio che è la partenza e il ritorno, un luogo dove nasce speranza. Tra il porto e la spiaggia, si sviluppano storie d’amore, tra una bambina che vede partire il suo papà, e poi lo vede tornare, e tra quella stessa bambina, divenuta donna, e il nuovo amore della sua vita. Le partenze e i ritorni di Fortuna al fianco hanno il lieto fine, che spero anche per il porto di Lampedusa. Ho voluto, con questo brano cantare “Buona fortuna” (così esordisce il testo del brano, ndr), dire un inno alla speranza». In questo brano le tue parole sono poche, efficaci e misurate. Molto lo fanno il video e la musica… «Questa canzone è nata da una sorta di visione di Eleonora Fontana. E’ la storia raccontata nel video. Le mie parole sono quasi un commento che evoca, poche frasi. Mario Rigoni Stern mi diceva che scrivere è togliere, togliere, togliere, e io seguo questa lezione. L’orchestra, qui, ha fatto un lavoro grandissimo. Gli strumenti e la composizione di un brano che guarda alla musica classica esprimono bene lo stato d’animo della protagonista e mi riconfermano nell’idea che gli autori classici avevano il linguaggio per dire tutto. Noi contemporanei stiamo riscrivendo cose già scritte».

Terramata e L’aquilon sono due inediti che ci riportano a terra. Permangono dei temi a te cari in questo disco?

«Certo. Terramata racconta della nostra terra, molto amata e anche un po’ matta. Una terra sulla quale spendi una vita e in cui poi basta una grandinata a distruggere il lavoro di mesi. Canto una terra che è madre, generosa e carica di sentimenti, e padre, conquista, eredità e bandiera. Canto una terra che per un contadino, per uno statista, per un soldato è tanto diversa, eppure sempre la stessa.

L’aquilon, invece, omaggio alla poetessa Miranda Bille, parla di libertà, una libertà che non è astratta, bensì incomincia nella tua storia, la tieni nelle mani come la corda dell’aquilone. Poi c’è il vento delle speranze che soffia, ci sono le nuvole delle paure o dei desideri, c’è un filo sottile per volare, ma è necessario lasciarla andare, salire».

Ritorna un altro giocattolo e ritorna anche il tema della guerra, in questo album.

«L’aquilone e gli altri giocattoli che cito nelle canzoni sono l’indice del mio modo di guardare il mondo: sempre con stupore, con novità, con innocenza, con gli occhi di un bambino che si diverte a osservare la realtà. Se perdessi questo sguardo, tutto cambierebbe. Ciò non significa chiudere gli occhi di fronte alle tragedie.

Mamma se solo sapessi parla di guerra, perché è proprio quando smettiamo di denunciarla, quando lo omettiamo che il conflitto si fa più pericoloso, non possiamo far finta di niente quando sono ancora così tante le guerre al mondo».

Perché hai intitolato questo album Imbastir parole?

«Perché scrivere canzoni, per me, è un lavoro artigianale, come quello della sarta, a imbastire testi e musica, ma soprattutto parole. L’immagine della mia nonna sarta, alla macchina da cucire, che cuce e ricuce, calza anche per il mio lavoro. Non è una cucitura definitiva, però, una canzone. È un’imbastitura: lascia sempre spazio e tempo per definire di più, per essere ritoccata, per interpretazioni diverse, per ritornarci. Io la scrivo, ma poi la canzone ha la sua vita propria».

Margherita Scarello

Davide Peron

Bookmark and Share